Genitori si diventa

Genitori si diventa. Non c’è dubbio. Alla nascita di un figlio, un adulto, uomo o donna che sia, diventa genitore, ovvero colui/colei che “ha generato, prodotto”, come testimonia l’origine etimologica del termine. È chiaro che questa è una premessa necessaria (anche non in senso strettamente biologico, se pensiamo alle adozioni e agli affidi), ma non sufficiente per l’essere genitori.

Genitori si diventa. Non c’è dubbio. Alla nascita di un figlio, un adulto, uomo o donna che sia, diventa genitore, ovvero colui/colei che “ha generato, prodotto”, come testimonia l’origine etimologica del termine. È chiaro che questa è una premessa necessaria (anche non in senso strettamente biologico, se pensiamo alle adozioni e agli affidi), ma non sufficiente per l’essere genitori. Si diventa genitori anche in senso più ampio: occupandosi ogni giorno dei figli, aiutandoli a crescere ed essendo disposti a crescere.
E’ come un viaggio con una nave. Il genitore fa da capitano con dei marinai inesperti che all’inizio dipenderanno in toto da lui, ma che piano piano impareranno l’arte dello stare in mare. Ogni marinaio, stando con il capitano e l’equipaggio (nonni, scuola, amici), potrà apprendere un sacco di cose e diverrà egli stesso utile per la vita sulla nave. Una nave che dovrà affrontare giorni di calma e giorni di burrasca; dove si potrà stare da soli o insieme agli altri. La comunicazione sarà importante per il viaggio, per non perdersi, per farsi coraggio nei momenti di stanca, per capire che direzione si sta prendendo, per organizzare festeggiamenti sul ponte o per prepararsi per il riposo.
In alcuni momenti di paura e di crisi il capitano dovrà mostrarsi coraggioso facendo forza ai suoi marinai. Difficilmente sarà un viaggio noioso. In alcuni momenti potranno esserci preoccupazioni per un guasto al motore, per il mare grosso, perché qualche marinaio è un po’ in difficoltà; anche queste avversità rinsalderanno i legami, faranno venire voglia di scoprire oceani nuovi. Tanto farà l’esempio del capitano e non solo le sue parole per apprendere a utilizzare il timone, per aprire le vele, per trovare sulle mappe nuove mete. In alcuni momenti anche il capitano sentirà il bisogno di ritirarsi nella propria cabina per riposare, per riflettere, per fare scelte importanti e i marinai dovranno anche imparare a rispettare i suoi spazi personali.
Nei mari familiari di oggi, sempre più capitani si mostrano smarriti nel profondo, con poca stima di sé e fiducia nelle proprie capacità educative. Sono quei capitani che si aspettano che siano i marinai a dare loro sicurezza, a confermare la loro autorità, a indicare la rotta oppure sono quei capitani che in alcuni momenti rinunciano al loro ruolo, lasciando la nave in balia delle onde, o si impongono, senza lasciar spazio al giovane marinaio e creando tensione e rabbia nell’equipaggio.
I mari di oggi sono faticosi da navigare e disorientano anche i capitani più esperti. Questo non deve però fra perdere la speranza. Essere adulti non significa non sbagliare mai. Dovremmo ricordarcelo quando rimproveriamo i bambini dicendo “dai… ora sei grande, questo non si fa!”, come se diventare grandi fosse avere sempre la risposta giusta.
L’adulto non è nemmeno colui che – avendo superato i 20 anni e avendo completato lo sviluppo cerebrale (eh sì… ci vogliono poco più di 20 anni perché lo sviluppo della nostra centralina di comando si completi) – ha smesso di crescere. In altezza sicuramente sì, ma non smette di crescere nel suo essere, perché ogni incontro, in special modo quello con un figlio, è un’opportunità per imparare qualcosa di nuovo su sé e sul proprio rapporto col mondo.
Cosa significa allora essere adulti/capitani?
L’adulto è colui che ha tutta la vita per apprendere. Lo sanno bene coloro che si occupano di educazione degli adulti e di università della terza età. Ma allora cosa lo differenzia da un bambino o un ragazzo? Innanzitutto fatto di essere da più tempo al mondo, fatto che arricchisce il bagaglio di esperienze personali, fornendo una gamma di prospettive più ampia e attrezzi diversificati per governare al meglio la propria nave. Un bambino sta ancora esplorando le innumerevoli possibilità dello stare al mondo; osservatelo quando trova una scatola: si prende il tempo di giocare con tutto ciò che quell’oggetto gli suscita, di esplorarla come tana, come macchina, come razzo e così via, esercitando così tutta una serie di
competenze. Allo stesso modo un ragazzo sta cercando di capire chi è e quale posto potrà ricavarsi nel mondo. Il ruolo del genitore si gioca allora nell’osservare fiducioso, nell’intervenire quando necessario (perché il bambino non si soffochi con la scatola, perché il ragazzo non prenda strade che lo danneggino).
Ma non è questione solo di tempo. C’è una qualità del vivere che differenzia chi è adulto da chi non lo è: è la possibilità di essere sé stessi, di trovare il proprio posto nel mondo, di vestire i propri panni e non quelli altrui, di essere consapevolmente e intenzionalmente i capitani della propria nave, accettando che vi sono anche altre navi con altri capitani.

(tratto da M. Bombarderi e G. Cavalli “Genitorialità creativa. L’antimanuale per genitori”, ed. Scholè, 2019).

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